Associazione che si occupa di disturbi del comportamento alimentare e violenza di genere.

Disturbi alimentari in Italia, un viaggio all’interno del fenomeno: tra cure inadeguate e famiglie in difficoltà!

Centri insufficienti, mancanza di informazione, burocrazia esasperata: nonostante i dati allarmanti, chi soffre di questi problemi spesso non sa a chi chiedere aiuto per trovare una via d’uscita!

Nessuno sa veramente cosa sia un disturbo alimentare finché non lo vive, finché non ci finisce dentro con tutte le scarpe. È qualcosa che va ben oltre la fisicità. L’estrema magrezza o i chili di troppo (ma, attenzione, anche persone di peso corporeo normale possono essere affette dalla patologia) sono solo il segnale visibile di un malessere molto più profondo, che catapulta in un dramma intere famiglie. Un dramma di per sé emotivamente difficile da affrontare, ma reso ancor più complicato dall’arretratezza dello stato delle cure in Italia. Strutture insufficienti o inadeguate. Mancanza d’informazione anche tra il personale medico. Tempi di attesa lunghissimi. Ragazzi costretti a emigrare in un’altra regione. Genitori lasciati soli. Nonostante negli ultimi anni si siano fatti dei grossi passi avanti, curarsi rimane spesso un calvario.

I dca – I disturbi del comportamento alimentare sono patologie caratterizzate da un alterato rapporto tra cibo e corpo causato da condizioni di disagio psicologico ed emotivo. Un problema estremamente frequente nelle popolazioni occidentali. Basti pensare che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i dca rappresentano la seconda causa di morte, dopo gli incidenti stradali, tra i giovani. Oltre 3 milioni di persone in Italia, di cui il 95,9% donne, ne soffrono (Ministero della Salute). Il fenomeno preoccupa ancor di più se si pensa che il range si è allargato – non mancano insorgenze in età adulta – e l’età media si è abbassata. Sono infatti sempre più frequenti i casi che coinvolgono anche bambine di 8-9 anni. Le persone più colpite restano, comunque, quelle in età adolescenziale. “I dca costituiscono oggi una vera e propria epidemia sociale. Sono disturbi cosiddetti a ‘eziologia multifattoriale’, ovvero le cause che portano al loro sviluppo sono molteplici e si possono riassumere in fattori individuali, ambientali e familiari”, chiarisce Laura Dalla Ragione, psichiatra, psicoterapeuta, direttore della rete Dca Usl 1 dell’Umbria e referente scientifico del Ministero della Salute per i disturbi alimentari.

I dca presentano caratteristiche cliniche e psicopatologiche differenti. In particolare, la classe medica distingue tre principali disturbi: l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il disturbo da binge-eating (disturbo da alimentazione incontrollata). Oltre a queste si individuano altre categorie meno conosciute. “Le forme del disturbo sono andate mutando, proprio come un virus insidioso”, aggiunge Dalla Ragione. “Adesso si parla anche di bambini dagli 1 ai 3 anni affetti da un disturbo di alimentazione differenziata, che mangiano, cioè, solo cibi di un determinato colore”, spiega Maria Grazia Giannini, presidente di Consult@Noi, Associazione Nazionale Disturbi del Comportamento Alimentare, costituita da associazioni di familiari ed ex pazienti.

L’importanza della diagnosi precoce – Purtroppo le famiglie, all’insorgenza di un disturbo alimentare, non sempre riconoscono il problema o se ne vergognano (di frequente le stesse “vittime” tengono celata la loro condizione) e quando invece prendono consapevolezza non sanno a chi rivolgersi e come comportarsi. Ciò è dovuto alla poca informazione sul tema, spesso anche tra i medici di base e i pediatri, che comporta ritardi nella diagnosi. “Se viene fatta entro due-tre anni – dichiara Giannini – le possibilità di guarigione totale aumentano considerevolmente (89-90%). E chiaramente la diagnosi precoce può essere fatta solo dai soggetti che per primi vengono a contatto con chi sviluppa questo problema: medici di base in primis, ma non solo (pediatri, insegnanti, istruttori di palestra ecc.)”. Figure che, però, troppo spesso non hanno cognizione di quali siano i sintomi del disturbo alimentare.

“I medici di famiglia sono scarsamente informati perché non c’è un lavoro a rete che li coinvolga, non è colpa loro, sono già oberati di lavoro”, fa notare il dottor Riccardo Dalle Grave, medico e psicoterapeuta, direttore scientifico dell’Aidap (Associazione Italiana Disturbi dell’Alimentazione e del Peso) nonché responsabile dell’Unità di Riabilitazione Nutrizionale della Casa di Cura “Villa Garda” ed esperto del Ministero della Salute sui dca. “Però – continua – dovrebbero essere messi nelle condizioni di poter fare uno screening, identificare il problema e, successivamente, inviare i pazienti nei centri specializzati”.

Un approccio multidisciplinare integrato – Per il trattamento dei disturbi alimentari è indispensabile un approccio multidisciplinare integrato a tutti i livelli di assistenza (terapia ambulatoriale specialistica, day-hospital, ricovero salvavita in ospedale e residenzialità extraospedaliera), che curi tanto l’aspetto clinico-nutrizionale quanto quello psicologico, attraverso un lavoro d’equipe (psichiatri, psicologi, internisti, nutrizionisti, endocrinologi, dietisti, fisioterapisti, educatori, tecnici della riabilitazione psichiatrica e infermieri). Per questo, il trattamento dei dca richiede strutture e personale altamente specializzati.

Psichiatria – Non di rado, invece, i pazienti vengono ricoverati in reparti psichiatrici, spesso nell’errata convinzione che basti imbottirli di farmaci per guarirli. “Questo non va bene, è come se venissero sottoposti a una psicoterapia generica. I disturbi alimentari necessitano di un trattamento specialistico”, sostiene Dalle Grave. “Un percorso del genere finisce solo per creare danni – gli fa eco Giannini – Ma finché nei Lea (livelli essenziali di assistenza) i disturbi alimentari saranno inseriti tra le malattie psichiatriche, è chiaro che laddove non ci sono centri specializzati i ragazzi verranno mandati in strutture psichiatriche”.

I centri – Anche i centri specializzati non sempre si rivelano all’altezza della situazione. Segno che, nonostante i disturbi alimentari siano così diffusi, il problema rimane sottovalutato, come nascosto in un cono d’ombra. Il risultato è che i pazienti si ritrovano sballottati da un centro a un altro, disorientati tra una diagnosi errata e l’altra, persi in una spirale che sembra non avere fine. “La distribuzione in Italia dei servizi clinici specialistici è a macchia di leopardo: alcune regioni ne sono fornite adeguatamente, altre ne sono completamente prive”, sottolinea Dalle Grave.

Mappatura – La difficoltà a orientarsi sulla qualità dei centri ha spinto il Ministero della Salute ad attivare nel 2011, in collaborazione con la Usl Umbria 1, un numero verde di assistenza (800180969) – operativo h24 dal lunedì al venerdì – e a realizzare una mappa dei servizi e delle associazioni specificamente dedicati al trattamento dei disturbi del comportamento alimentare, consultabile sul sito www.disturbialimentarionline.it. Purtroppo, questi servizi non godono della visibilità che meriterebbero, tanto che quando si cerca “disturbi alimentari” su Google, il sito dedicato non appare tra i primi risultati.

“Stando alla mappa l’Italia sembrerebbe il Paese occidentale con il più alto numero di servizi clinici per i disturbi alimentari, ma non è proprio così”, precisa Dalle Grave. Proprio per monitorare la reale offerta dei centri dedicati ai dca a livello regionale e nazionale, per fornire alle istituzioni indicazioni sulle necessità di adeguamento e omogeneizzazione dell’offerta assistenziale in ciascuna regione e per agevolare il corretto invio degli utenti ai servizi, nel 2015 è stato istituito un “Gruppo di governo della mappa dei servizi”, che ha visto la collaborazione tra Ministero della Salute, Usl Umbria 1 e Consult@Noi.

“Come associazione di familiari ed ex pazienti facciamo un lavoro essenziale – racconta Giannini – Andiamo a controllare se in queste strutture mappate esiste davvero la multidisciplinarietà, come vengono accolti i ragazzi che chiedono aiuto e i loro genitori”. Grazie anche a questi “sopralluoghi” alcuni centri non idonei per la cura della patologia, sono stati eliminati dalla mappatura. “Le strutture sono diminuite – aggiunge Laura Dalla Ragione, che è anche il responsabile scientifico della mappa, del sito e del numero verde dedicato ai disturbi alimentari – perché alcune non possedevano i requisiti per essere considerate specializzate (ad esempio, venivano aperte un giorno a settimana o il personale non era adeguatamente formato)”.

La mappa, oltre a essere in continuo aggiornamento, è anche uno strumento utile per capire la qualità delle strutture disponibili perché indica, centro per centro, i livelli di assistenza forniti. “Tali livelli non sono tra loro sovrapponibili né viceversa disarticolati, ma rappresentano ciascuno la risposta più idonea e appropriata da utilizzare sulla base di quanto i terapeuti hanno valutato nella fase di assessment”, puntualizza Dalla Ragione. “Di certo, se i trattamenti ambulatoriali fossero adeguati, il numero di ricoveri si ridurrebbe considerevolmente”, chiosa Dalle Grave.

Bisogna sottolineare, poi, che, qualora ci fosse, il ricovero non coincide con la fine delle cure. “Il trattamento medio di un disturbo alimentare – diciamo non complicato – dura non meno di due anni. Significa che dopo un eventuale ricovero che può durare dai 3 ai 5 mesi, occorrerebbe fare un trattamento ambulatoriale (i pazienti che hanno continuato le cure, facendosi seguire ambulatorialmente, hanno infatti avuto una risoluzione migliore). Ma non sempre accade perché non si sa a quale ambulatorio affidare i pazienti dimessi”, evidenzia Dalla Ragione.

Cure fuori regione, autorizzazioni, tempi d’attesa… – Dando una rapida occhiata alla mappa, si nota che solo 9 regioni offrono tutti e quattro i livelli di assistenza. L’inadeguatezza dei centri specializzati in alcune regioni fa sì che i ragazzi siano costretti a emigrare per curarsi. “Questo non è un bene, perché chiaramente chi soffre di questi disturbi deve andare lontano, anche a 800 chilometri di distanza” – spiega Dalla Ragione – È un problema anche per i familiari del paziente, costretti a fare lunghi e dispendiosi viaggi per far sentire la loro vicinanza e perché la terapia li coinvolge attivamente. Sì, perché se è vero che i centri sono gratuiti, è altrettanto vero che i viaggi costano e non tutti possono permetterseli”.

Ma non sempre si ottiene l’autorizzazione per le cure extraregionali: ogni trasferimento comporta dei costi esosi per la Asl di provenienza (è quest’ultima che deve dare l’ok). “Comprendo la problematica economica, però dinnanzi a una persona che sta male che facciamo, la facciamo morire? Non si può restare indifferenti oppure si dà ragione a chi dice che le persone per le istituzioni sono dei numeri – tuona Giannini – È assurdo, con il denaro che la Asl spende per mandare un ragazzo a curarsi fuori regione si potrebbero creare dei centri, delle strutture, degli ambulatori nei posti di residenza. È un paradosso”. Il paziente e la famiglia, inoltre, si devono scontrare con un altro ostacolo: i lunghi tempi di attesa dovuti al numero di richieste superiori ai posti disponibili nei centri, con un possibile conseguente peggioramento del disturbo.

…e costi – E se non si ottiene l’autorizzazione cosa succede? Alcune famiglie si rivolgono a specialisti, come psicologi e nutrizionisti, privati. Ma, spesso, quando sentono il costo delle cure rinunciano, perché non possono permettersele. “Non tutti capiscono cosa voglia dire avere a che fare con un disturbo alimentare – commenta Giannini – Non avere la possibilità di pagare e di guarire completamente equivale, se va bene, a essere destinati per tutta la vita a sopravvivere. O a morire, perché di disturbo alimentare si muore. E a proposito di costi, un’altra cosa che come associazione stiamo chiedendo è che nel codice di esenzione 005 (per anoressia nervosa e bulimia) vengano comprese tutta una serie di indagini mediche che devono essere svolte obbligatoriamente per chi ha un disturbo del comportamento alimentare sia nella fase diagnostica che poi nella fase di controllo”.

Trattamenti – Non solo centri insufficienti e liste d’attesa. Il problema riguarda anche il tipo di cure proposte. “Altro aspetto deficitario del sistema è l’assenza di studi di esito condotti dai servizi clinici. Si autocelebrano senza fare valutazioni sull’esito dei loro trattamenti, per cui non siamo in grado di sapere quali lavorano bene e quali no”, illustra Dalle Grave. “A Villa Garda, applichiamo dei trattamenti psicologici evidence-based – la cui efficacia è dimostrata da studi controllati – che raramente sono implementati nei servizi clinici italiani e quando lo sono si devia dal protocollo perché le scuole di specializzazione e psicoterapia così come le università non formano adeguatamente sul tema. Capita, dunque, che il singolo professionista applichi le terapie che ha imparato nelle scuole, ma che spesso sono totalmente inadeguate. E se la terapia è scadente purtroppo poi gli esiti sono altrettanto scadenti. Al contrario, i trattamenti psicologici evidence-based – come ad esempio la terapia cognitivo-comportamentale migliorata (raccomandata dalle linee guida Nice inglesi, le più importanti per la cura delle malattie) o il trattamento basato sulla famiglia (ha evidenza di efficacia negli adolescenti che hanno una durata di malattia inferiore ai tre anni) – sono fondamentali perché guariscono due terzi dei pazienti”.

Dai disturbi alimentari si può guarire – Alla luce di tutto ciò, come deve comportarsi una famiglia che si trova ad affrontare questo problema? “Non appena avverte il sentore, la famiglia non deve avere paura di rivolgersi a un professionista ben informato sul tema. Sono inoltre consultabili sul sito del Ministero della Salute le raccomandazioni per i familiari che illustrano i primi sintomi di un disturbo alimentare, i segnali per riconoscerlo e in seguito i consigli per affrontare un percorso di guarigione – conclude Giannini – Le abbiamo chieste per tanto tempo e ora sono diventate realtà, così com’è accaduto con la Giornata del Fiocchetto Lilla (simbolo dell’impegno e della consapevolezza nei confronti delle problematiche legate al disturbo, che ricorre ogni 15 marzo) e con il codice lilla in pronto soccorso (introdotto nel 2018 per avviare da subito il giusto percorso terapeutico per i pazienti, anche se fino a quando il personale che lavora in pronto soccorso non sarà opportunamente formato sui dca, il codice lilla – pur formalmente introdotto – non sarà effettivo)”.

Fonte TGCOM24