Associazione che si occupa di disturbi del comportamento alimentare e violenza di genere.
21 Settembre 2016

Testimonianze

A Castiglione del Lago seicento studenti si appuntano al petto il “fiocchetto lilla”.
Con la consegna ai partecipanti degli attestati e dell’oggetto simbolo della lotta ai disturbi del comportamento alimentare, si sta chiudendo in questi giorni il progetto “Nella mia cittadina il 15 marzo si accenderà una fontana illuminata di lilla ed io…”, a cui hanno aderito le scuole castiglionesi.
Collegato alla “Giornata nazionale contro i disturbi dell’alimentazione”, contraddistinta appunto dal fiocchetto color lilla, il progetto è stato proposto dall’Associazione di volontariato Il Bucaneve, in collaborazione con Punto Rosa 2.0 e la Usl Umbria1. L’obiettivo era quello di sensibilizzare i più giovani su queste patologie che sempre più interessano le famiglie e individui di ogni età.
Dopo un incontro preliminare di informazione con la presidente de Il Bucaneve, Maria Grazia Giannini, gli studenti sono stati invitati a realizzare opere a scelta (disegni, lettere, poesie, o video) sul tema. Opere che in questi giorni vengono restituite a Il Bucaneve. Nella giornata di mercoledì Giannini ha incontrato le Primarie di Castiglione del Lago, Pozzuolo e Colonnetta, mentre nei prossimi giorni toccherà alle altre scuole coinvolte.
In particolare hanno aderito le classi quarte e quinte delle Primarie di Castiglione del Lago, Pozzuolo e Colonnetta ; le seconde della Secondaria di primo grado di Castiglione del Lago e le seconde e terze di quella di Pozzuolo e le tre classi dell’indirizzo socio-sanitario del Professionale. Per un totale appunto di circa 600 allievi.
“Gli studenti – riferisce Giannini – soprattutto i più piccoli, hanno dimostrato estremo interesse nei confronti di questo progetto. L’argomento è stato affrontato concentrandoci sull’importanza di una sana alimentazione e su come le emozioni possano influenzare il rapporto che si ha con il cibo. Abbiamo evidenziato l’importanza del dialogo in famiglia e nell’ambito delle amicizie. I lavori prodotti hanno dimostrato che l’argomento è stato ben accolto e alcuni scritti, soprattutto delle superiori, dimostrano quanto sia importante lavorare sul piano emotivo. Ci auguriamo che questo sia un primo step per effettuare una sana informazione”.
“Quella del benessere psico-fisico – dichiara la dirigente della “Rasetti” Stefania De Fazio – è uno dei filoni principali su cui si costruisce il nostro piano dell’offerta formativa. Con Il Bucaneve da tempo abbiamo avviato una importante collaborazione sull’affettività e sulla alimentazione che la scuola rafforza anche con il regime alimentare delle proprie mense. Per noi quello trascorso a tavola è ‘tempo scuola’ a cui attribuiamo una grande valenza”.

Fonte : https://www.facebook.com/ProvinciadiPerugia/posts/585389585269627

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Vittoria

Mi piacerebbe iniziare a raccontare la mia esperienza partendo dalla parola “colpa”.
Il senso di colpa a mio parere è un nodo cruciale per le persone che soffrono di un disturbo alimentare. Si tratta di un senso di colpa esistenziale, una sensazione che ti pervade totalmente, che contamina ogni singola cellula, che proprio per poter essere confinata trova sfogo nella cosa più normale, più banale : l’atto di alimentarsi.
Tutto viene temporaneamente finalizzato anzi subordinato al controllo calorico, alla gestione degli impulsi, dell’impulso. Tutta la vita, tutta l’esistenza nella sua accezione più globale viene immolata al sacrificio alimentare. Resistere alla fame, resistere alle necessità fisiologiche, resistere per resistere, per poter murare i propri sentimenti. Sempre, incessantemente, senza tregua, non ti devi rilassare mai, dopotutto devi espiare la tua colpa.
All’inizio la situazione appare gestibile e governabile, perfino gratificante, ma poi si sé inevitabilmente costretti a scontrarsi con la con la realtà più dura e vera.
Vieni completamente trascinato nel vortice e in un attimo non sei più tu che gestisci nulla ma al contrario vieni gestito dalla tua malattia, il tuo sintomo assume il ruolo di un direttore d’orchestra. La tua vita precedente non esiste più, ci sei tu e il tuo male, secondo te incurabile e destinato all’eternità.
Molte persone che soffrono di un disturbo alimentare sono in grado di lottare contro se stesse anche in punto di morte, lasciano le redini per un attimo, il tempo necessario a non soccombere , essendo poi subito pronte a riprenderle non appena riescono vagamente a tornare a galla.
E così in questa lotta infinita passano gli anni, il tempo scorre veloce e non ha nessuna pietà. Mentre il mondo intorno a te cresce, lotta, soffre, sorride, cambia, esiste,agisce, frigge, tu sei lì. La vita ti scivola dalle mani mentre tu imprigionata nei numeri, immobile, la vedi passare. Non vuoi sentire nessun dolore e allora preferisci rinunciare anche alla più piccola gioia, hai deciso di eclissarti , a tuo dire per sempre. O meglio, finchè durerà.
Non ci pensi al futuro, il futuro non esiste, è una dimensione a te esterna, non hai la forza di guardarlo negli occhi davvero. Resti nello stallo di un presente irreale oltre al quale non vuoi e non ti senti assolutamente in grado di gettare lo sguardo.
In fondo sai benissimo cosa ti aspetterà qualora dovessi sopravvivere. Ti figuri un groviglio di dimensioni colossali e allora tanto per cambiare fai qualcosa, il solito qualcosa, per evitare di pensarci davvero e resti incastrata in una mediocre sopravvivenza priva di senso, nel circolo vizioso più becero.
Ebbene questo circolo vizioso può essere spezzato.
E’un percorso duro, costa fatica, sudore, dolore, lacrime,ti lascia senza fiato. Devi necessariamente passare attraverso la sconvolgente sensazione di sentire improvvisamente franare il terreno sotto di te. La percezione di precipitare nel vuoto . La necessità di destrutturarsi radicalmente e ricostruirsi partendo quasi da zero. Quasi, non del tutto, perché quella sofferenza indicibile ti ha fatto sviluppare delle risorse fuori dal comune anche se ancora non lo sai, lo senti ma non ne hai la piena consapevolezza.
Ma da lì in poi la strada, fidati, è tutta in discesa.
Fiducia, fidarsi, affidarsi. Si parte da qui.
E’ piuttosto scontato che da un incubo simile, da una malattia così fortemente invalidante sia oggettivamente impossibile uscirne da soli. Bisogna prendere coraggio, chiedere umilmente aiuto, dissociarsi dal ruolo di eroina e rivolgersi a dei professionisti. Se aveste il cancro non andreste dall’ oncologo? Credo di sì, quindi anche questo che è una sorta di cancro dell’anima non può prescindere dall’intervento di un dottore. Naturalmente la voglia di vivere non te la conferiscono certo i medici, nessuno ti salverà, nessuno ti regalerà di nuovo la vita se tu non lo vorrai.
Io sono una di quelle che i medici definivano cronica. Secondo molti di loro non avrei mai potuto fare una vita realmente normale, certo sarei potuta stare meglio evitando di vivere tra un ospedale e una clinica, forse un poco di più. Trovare un equilibrio, il mio equilibrio, mi dicevano spesso. Non c’è nessun equilibrio fino a che resta un germe malato, c’è solo un temporaneo e precario livellamento che non fa altro che preparare il terreno ad una nuova e più devastante, rovinosa ricaduta.
Onestamente l’etichetta di malata però non mi dispiaceva affatto, mi conferiva (nella mia visione patologica) quell’alone bohemien di esclusività e mi metteva al riparo da eventuali fallimenti perché dopotutto io ero anoressica. Stavo male. L’anoressia era radicata nella mia identità, mi faceva da paracadute, mi dava un senso. Sì, ma a che prezzo? La mia anima e il mio corpo, la mia vita insomma, tutto era stato risucchiato in un delirio complessivo. Ero rimasta completamente sola con il mio disturbo, come se vivessi una bolla, come fossi drogata, a volte quasi autistica.
Nonostante ciò non mi sono arresa e ho lottato, ho lavorato duro, ho pianto, sono stata male fisicamente a causa della tempesta emotiva che mi provocava scavare in modo serio dentro di me,. Ho deciso che non volevo, non potevo, non dovevo accontentarmi semplicemente di restare a galla. Mi facevo forza pensando al domani, sognando quella vita normale da cui tanto avevo fuggito.
Non posso omettere di dire che questo processo di cambiamento, di evoluzione, è potuto avvenire solo nel momento in cui sono stata fortemente incalzata dalle persone che mi avevano in cura, solo quando mi sono concretamente fatta aiutare, quando messa alle strette ho abbassato le barriere e mi sono detta “lascia che sia”, quando mi sono messa effettivamente in gioco. Da lì in poi è iniziato un flusso di coscienza, un fiume di sentimenti e di paure che ho lasciato scorrere fuori ma soprattutto dentro di me. Allora quel garbuglio inestricabile ha iniziato a diradarsi sempre di più e ho potuto riprendere davvero il bandolo della mia personale matassa. Prendendo consapevolezza di ciò che mi aveva portato a distruggermi così tanto e così a lungo ho trovato anche la forza dire a me stessa di accettare.
Mi ripetevo di accettare la vita, accettare il passato, accettare il corpo, accettare la natura, accettare il cibo, accettare il futuro, accettare il destino, accettare il dolore, accettare l’amore, accettare gli imprevisti, accettare che la vita non è perfetta mai. Per nessuno. Accettare che la vita per vari motivi, coincidenze, intoppi può anche non essere come la sognavi tu ma non per questo non è degna di essere vissuta, amata, goduta, rispettata.
Il concetto di accettazione è stato fondamentale nel mio percorso verso la rinascita, non nel senso passivo del termine ma al contrario nel suo valore più positivo. Prendere quello che la vita ti riserva e coglierne nei limiti del possibile, il lato migliore. Le difficoltà, è palese, ci saranno sempre ma non per questo dobbiamo lasciarci sopraffare da esse annullandoci e infierendo su noi stessi. Non è umano lottare contro tutto senza sosta.
Oggi dopo innumerevoli ricoveri, dopo essere stata in fin di vita, dopo aver pensato e pregato di voler morire tutti i giorni per lunga parte della mia vita sono una persona felice, ho smesso di vivacchiare tra una degenza e l’altra. Sono felice di vivere, non sono certamente in pace o emotivamente risolta,nessuno lo è mai, ma sono affamata del presente e curiosa del domani, voglio agire, costruire, ridere, volere, sentire, amare, piangere, correre, riposare, urlare, sussurrare,giocare, fare, essere.
Ho cambiato prospettiva, l’ho scelto, deciso e voluto fortissimamente e sono una persona completamente nuova, non so se migliore ma certamente diversa. La mia vita anoressica ha il sapore di un esistenza parallela, un capitolo lungo, denso, doloroso e che probabilmente doveva avvenire perché in quel momento era il solo modo che sentivo di avere a disposizione per incanalare il dolore, di conseguenza in mi ha forse salvata e protetta. Dopo tutto quello che mi è successo oggi riesco a guardarmi dentro, piangere, arrabbiarmi, urlare, soffrire, spaventarmi , barcollare, sbagliare non senza fatica ma da donna libera.

 


 

Alessio

Sono sempre ben disposto a testimoniare con una certa serenità tutto quanto (con la speranza di poter essere di aiuto a qualcuno ). E lo faccio in modo sereno perché ormai ne sono fuori (per cui non giudico mai chi non se la sente )! Quel che credo fortemente è che ammettere la propria vulnerabilità è una forza e non una debolezza!
La sofferenza non ha sesso! La ricerca della perfezione può diventare un’ossessione, una sfida, una diabolica chimera. Ed è stata ancor più dura per me non avendo padre o madre ossessivi cui poter dare la colpa , dal momento che per me sono sempre stati i migliori genitori che potessi avere e che sono il regalo più bello che il Cielo mi potesse fare! Era tutto dentro di me! Ero solo io contro me stesso! Vero che la società ti dice che l’essere debole è femmineo, ed essendo un maschio non ti puoi permettere altro se non far vedere i muscoli. Ed è quello che a volte ho fatto, ma alla fine dietro tutto questo si cristallizza il dolore! E credetemi se una eccessiva sensibilità in una donna può mettere a dura prova la propria vita, in unn ragazzo può essere devastante, soprattutto in età adolescenziale, come è stato per me! Il cibo diventa solo un pretesto , un modo per far vedere per assurdo quanto sei forte, quanto sei “maschio”! Poi per fortuna si cresce e oggi da uomo non ho più paura di piangere, di ridere , di mostrare quel mix di forza e debolezza che sono. E metto tutto questo al servizio di me stesso (quando ci riesco), delle persone che amo e del mio lavoro! E mi sento molto più ” maschio ” di tante altre persone, sebbene la sofferenza beh quella rimane, a tratti ma è il rovescio della medaglia di chi ha avuto il grande dono di vedere il mondo con gli occhi di un bambino. Per tutta la vita! La famiglia é quasi sempre la via della salvezza quando presente , non sempre é la causa ! Ma io sono fortunato e non sempre è così! E sono anche fortunato lavorando in un contesto artistico dove la vulnerabilità è quasi un pregio, quel qualcosa che ti permette il lusso di esprimere quei sentimenti che volenti o nolenti reprimiamo nella vita di tutti i giorni ! Ma ahi, noi non è per tutti così (a causa dei contesti sociali in cui ci si muove). E per questo bisogna ancora lavorarci su! Per fortuna tante cose sono cambiate. Alcune cose fin troppo ma dipende solo da noi!
 

 


 

Sofy

Sono una ragazza di * anni, la mia storia la riassumo molto spesso come la sintesi di tre elementi: paura, ansia e solitudine. La paura in particolare penso sia quella maggiormente in grado di caratterizzarmi: paura nell’affrontare il problema di avere una sorella disabile sin dalla nascita, paura di deludere i miei genitori che dalla FIGLIA MAGGIORE si sono sempre aspettati il massimo, l’eccellenza, LA PERFEZIONE, quasi come a pretendere un doppio lavoro, compreso quello della prima figlia a cui la vita ha precluso moltissime opportunità. La paura di crescere l’ho conosciuta invece a 12 anni, età in cui il corpo di una ragazzina incomincia a trasformarsi in quello di una donna, nei miei diari di quel periodo compariva spesso questa frase: “Non mi trovo in questo mondo, non capisco più chi sono, le cose che si fanno da bambina non mi vanno più bene, per quelle da adulta non mi sento ancora pronta e forse non lo sarò mai”. L’incubo più grande di quell’età fu la comparsa del primo ciclo, ricordo ancora l’immensa solitudine e la consapevolezza che quella estate del 2001 sarebbe stata la mia ultima estate trascorsa da bambina spensierata, non mi sentivo pronta per crescere, non volevo, non ero pronta a farmi carico di tutto il fardello di paure che seppur inconsapevolmente mia madre gettava su di me, tanto io c’ero sempre, su mio padre non si poteva mai contare: “Ormai sei GRANDE, sai com’è tuo padre, lui è il numero uno nel suo lavoro, ma per noi non c’è mai, dobbiamo cavarcela da soli”. Pochi mesi dopo diventai la figlia modello che loro sognavano, non uscivo più di casa; i contatti con l’esterno erano ridotti soltanto alla scuola, salvo qualche lezione saltata quando il mio fisico divenne troppo debole per affrontare quel freddo pungente che mi penetrava nelle ossa; passavo ore ed ore nella soffitta a “macinare” chilometri e chilometri di cyclette, sognando di poter un giorno iniziare pure io uno sport come tutte le mie amiche, anche se difficilmente avrei potuto realizzare il mio sogno prima di diventare maggiorenne, dal momento che mia madre non sapeva guidare e mio fratello era troppo piccolo per farlo…
Ma io non contavo, io non potevo farmi vedere debole o stanca, l’unica cosa che contava era vedere i miei genitori felici. Io ero la più forte di tutti, ero anche diventata la più magra della classe, più magra persino di quella ragazza nella mia classe che tutti i miei compagni adoravano e che aveva un fisico sportivo ed asciutto, ma io non avevo più voglia di vivere e di stare in mezzo agli altri, io DOVEVO passare i miei pomeriggi nella soffitta, DOVEVO fare le mie ore di ginnastica e DOVEVO studiare, non potevo né meritavo di uscire con gli altri. Dopo alcuni mesi mi resi conto che la situazione mi stava sfuggendo di mano, che avevo tante difficoltà ogni volta che tentavo di mettere in pratica quella frase in cui credevo fermamente: “Tanto smetto quando voglio”, mi odiavo ogni giorno di più, specialmente da quando iniziai a mangiare in maniera compulsiva… Vedevo i miei molto più tranquilli e questo mi faceva davvero bene, TANTO SOFY NON CONTAVA NULLA, loro erano tranquilli anche perché ossessionata da mia madre mi recai da quella psicologa di cui mi parlava incessantemente da almeno sei mesi e per almeno cinque volte al giorno… Con lei andai avanti per due anni, due anni in cui imparai a recitare e a mettere tutti i problemi ben nascosti “sotto il tappeto”. Alla fine mi disse di non andare più e io ne fui felice come non mai, mi lasciò dicendo di continuare a ricercare le ragioni del mio malessere nella mia famiglia, ma a me non interessava, IO NON AVEVO NESSUN PROBLEMA, la cosa più importante era quella di aver concluso quello strazio, così pensavo………
 
Continuai a lungo a fingere alternando un disturbo all’altro finché dopo anni in cui non avevo più il ciclo, mi spaventai e decisi di confessare tutto alla mia migliore amica. Era il 2010, il giorno del mio compleanno, mi lasciai convincere a fare una visita ginecologica, da quel momento la causa fu chiara e non potevo più mentire a me stessa…. La sera mi arrivò un sms della mia migliore amica : “O ti fai aiutare o rischi di rimanere nel disturbo tutta la vita, io ci sono sempre, ma ora devi capire che è il momento che le cose cambino!”. Rilessi quell’sms almeno 100 volte, forse era vero che la solitudine era meno forte e che le persone non erano tutte uguali, che le “amiche” non erano solo quelle che alle medie scrissero contro di me frasi tutt’altro che piacevoli nel bagno della scuola…
Una persona che vince la lotta contro un DCA è una persona meravigliosa, una persona che non si arrende alla prima difficoltà, una persona che crede fermamente in ciò che fa, ma per fare questo è necessario affidarsi, è fondamentale l’aiuto di qualcuno che ti faccia capire che il senso della vita non può essere racchiuso in un numero, che le ossessioni dopo anni di impegni e di lotte possono essere limitate enormemente fino a scomparire.
Molte persone mi hanno detto di essere stata fortunata ad aver avuto una madre che da subito si è accorta dei miei problemi e che ha fatto molto per me, io sono consapevole di questa fortuna, ma devo continuare a lavorare da sola e su me stessa, per poter finalmente CRESCERE. Ci sono ancora giornate in cui mi sento inutile, in cui mi vergogno di ciò che sono stata, una delle mie più grandi paure resta ad esempio quella di non riuscire ad incontrare un compagno di vita, una persona con cui poter costruire un futuro e per questo spesso mi dispero, ho una paura folle della solitudine lo ammetto, ma anche io avrei davvero tanto bisogno di sentirmi amata… Non smetto mai di lottare per me stessa e per la speranza d’incontrare gli occhi di una persona che incrociando il mio sguardo dica: “Non ho bisogno di spiegazioni, voglio solo stare con te”.
 
 

 

Anna

La nostra triste storia, di Sabrina e mia, incominciò dopo la morte di mio marito.
Un uomo buono, un buon padre, ma ammalato da tanti anni: ne passa 17 dentro e fuori dagli ospedali
L’ ultimo ricovero durò ben 5 mesi e poi fu la fine.
Sabrina, penso che incominciò allora il suo percorso verso la morte.
Lei indossò la sua corazza di brava ragazza,buona, sempre sorridente e molto affettuosa; io indossai la mia, quella di persona arrabbiata verso il mondo, verso tutti, ma specialmente verso me stessa.
Vivevamo molto tempo insieme, era lei che si prendeva cura di me, mi trascinava a ballare, a fare compere e la nostra vita incominciò ad essere vita.
Così pensavo, ma dentro di lei stava covando un malessere così nascosto che neppure il mio amore nei suoi confronti, mi rese consapevole di ciò che stava accadendo
Lei incominciò a prendere lassativi(di nascosto) e a fare corse estenuanti: convinceva anche me a seguirla, dicendomi che mi faceva bene fare movimento….
Gli anni passarono , Sabrina decide di andare a vivere con il suo ragazzo, ha il suo lavoro e sembra che tutto vada bene,ma purtroppo dopo un po’ di tempo mi accorgo che dimagriva a vista d’ occhio.
La costringo a farsi ricoverare: medicina , comunità ,psichiatria:la diagnosi: anoressia nervosa in bordeline.
Questi posti diventano col tempo la nostra casa, 10 anni di andirivieni fra ospedali comunità e casa
IO sempre più arrabbiata, perchè succedeva tutto questo alla mia adorata figlia?
Non mi rendevo conto che la mia rabbia non aiutava lei, anzi ne soffriva ancora di più ed io peggioravo le cose La mia convinzione era che io madre avevo il compito di cercare le comunità migliori….i medici migliori..e non capivo che avrei dovuto incominciare a cambiare ME STESSA
Lei aveva bisogno di amore non di una mamma arrabbiata, io l’ amavo più di me stessa ( lei lo sapeva), ma non riuscivo a manifestarglielo perchè la rabbia aveva la meglio.
Andavo a trovarla nelle varie comunità, ospedali e quant’ altro.
Non vedevo l’ ora di vederla, ma quando ero là non vedevo l’ ora di scappare.
Era troppa la sofferenza, non ce la facevo..cercavo di abbracciarla ma non cela facevo:DIO MIO ERA UN MUCCHIO D’ OSSA..
Mi sentivo disperatamente sola,sola con un problema più grande di me.
Arrivò purtroppo il 10 agosto 2006.
Al mattino mi ero recata da lei per portarle alcune cose che mi aveva chiesto.
Mi sedetti sul letto con lei mentre il dottore mi spiegava che se continuava così non sarebbe arrivata alla fine del mese.
Scoppiai a piangere e per un istante abbandonai la mia corazza.
Lei con molta calma mi disse: non piangere mamma, io sono stanca e non ho voglia di vivere: tu vai avanti anche per me, tu sei forte…
Ecco io sono FORTE, questo era quello che io avevo trasmesso a lei, maledetta forza!!!!
La sera dello stesso giorno, verso le 19, mi chiamarono: venga giù, Sabrina è volata via assieme agli angeli…..
La trovai sul letto, aveva i suoi begli occhi azzurri aperti: aveva uno sguardo dolcissimo e sereno.
Dopo averla accarezzata a lungo le sussurai in un orecchio: addio tesoro mio, ti prometto che andrò avanti in nome tuo, lavorerò finchè ne avrò la forza, però tu da lassù dovrai darmi una mano.
Dopo un brutto periodo, dove la rabbia e i sensi di colpa erano miei compagni di vita, mi ricordai della promessa fatta a mia figlia e mi misi all’opera.
Faccio parte di un’ associazione di genitori che mettono a disposizione il loro tempo, genitori che hanno avuto a che fare con la BESTIA.
In ogni ragazza che incontro vedo Sabrina, nei genitori angosciati vedo me stessa.
Sabrina se ne è andata, mi ha lasciata sola, ma mi ha regalata in eredità tante cose belle e positive.
Ho imparato da lei ad abbracciare, ho abbandonato la mia corazza di donna forte, ho preso coscienza degli errori commessi.
Ora sono una persona che riesce ad essere “umana” con le sue debolezze e i suoi limiti.
Lo devo a lei tutto questo, grazie Sabrina, io ti ho dato la vita e tu hai fatto di me una persona migliore.
Veglia da lassù la tua mamma che ne ha tanto bisogno e tutte le BIMBE che stanno soffrendo come hai sofferto tu!
Ciao tesoro
un giorno ci ritroveremo
MAMMA
 
 

 

Betty

Quando stai male dici di voler guarire. Tutti ti ripetono che i DCA sono problemi della mente non del cibo e allora ti domandi perché non posso(no) guarirmi la testa solamente, cosa c’entra il dovermi nutrire il dover magari tornare ad un peso normale (nel mio caso, parlo da ex anoressica)? Perché inutile raccontarcela all’inzio della terapia il nostro pensiero è ancora lì, incentrato sul sintomo e la cosa che ci fa più paura è perderlo questo sintomo, perdere il controllo su quello che mangiamo, vomitiamo o sui kg che portiamo addosso. Purtroppo non ci può essere guarigione dai DCA che prescinda dal corpo, dobbiamo accettare di avere un corpo e imparare a volergli bene, fa parte del percorso. Senza il corpo non ci sarebbe nemmeno la testa, noi vorremmo non esistesse ma non è così per fortuna (questa fortuna la potremo capire solo poi) esiste e dobbiamo imparare a prendercene cura. PS Quando starete bene poi, credetemi, riscoprire il proprio corpo, imparare ad ascoltare le sensazioni che ci trasmette è una cosa davvero bella! Un abbraccio a tutte/i.
 
 

 

Daria

Il mio ragazzo dice che io lo amo troppo…che lui mi ama ma non morirebbe per me…che mi ama un po’ e che ha bisogno di tempo (stiamo insieme da 7 mesi)…io mi chiedo: é possibile amare a metà??? per come sono fatta io no. Sarò anche eccessiva ma quando amo lo faccio con tutto il mio cuore anche se stento a dimostrarlo. Adesso mi sento in colpa anche per i sentimenti che provo nei suoi confronti, mi sono chiusa a riccio e non so come comportarmi…per una volta che ero riuscita ad esternare la mia “fragilità” piangendo e dicendogli quanto mi manca visto che siamo lontani… perchè non riesco mai a comportarmi nella maniera corretta e alla fine non faccio altro che allontanare tutti??? 🙁 🙁 sono solo stata me stessa. per una volta.
 
 

 

Miù

Sono una ragazza di quasi 18 anni. Il mio disturbo alimentare è iniziato all’ incirca quattro anni fa. Fin da piccola sono stata una bambina “in carne” , “cicciottella” , così mi definiva la mia famiglia. L’ ho sempre presa come uno scherzo fino a quando iniziarono i primi confronti e paragoni con mia sorella e le mie cugine che sono sempre state molto magre. Nessuno mi considerava se non per farmi delle osservazioni sul mio aspetto fisico e allora cominciai a mangiare non più per il piacere di farlo, ma per essere considerata. A 14 anni tutto cambia, il mondo delle superiori, i confronti con l’ altro sesso e anche con le altre ragazze mi facevano sentire a disagio, le osservazioni da parte della mia famiglia non facevano che peggiorare il mio stato d’animo. C’ era qualcosa dentro di me che si stava ribellando a tutto quello che mi circondava, in famiglia non mi sentivo più a mio agio, volevo scappare da tutta quella sofferenza da quelle pratiche malsane, sono sempre stata timida abituata a tenere le cose dentro, accumulavo, accumulavo e accumulavo… così senza accorgermene iniziai semplicemente con una dieta “fai-da-te” . Mia madre mi assecondava in questa mia decisione cominciai ad avere i primi sintomi dell’anoressia, ma da principio non pensavo che la situazione potesse arrivare a questo punto. Un giorno mi sentii male e mia madre dopo aver strappato la dieta sotto i miei occhi capii che non era più dalla mia parte: adesso ero sola. Nel frattempo stavo passando un periodo molto difficile con la scuola, primo anno di superiori, rendersi conto di aver fatto una scelta sbagliata e prendere nuovamente una decisione. Così cambiai scuola e riuscii ad entrare nell’anno successivo senza perdere quello già concluso. Ero davvero soddisfatta di me stessa, per la prima volta avevo scelto io e ce l’ avevo fatta con le mie forze! Inizio’ così una specie di nuova vita, compagne nuove, professori nuovi, insomma dovevo assolutamente dare tutta me stessa per dimostrare che valevo qualcosa. Cominciai ad entrare purtroppo in un meccanismo distorto perché vivevo solo per la scuola e lo studio, dovevo dare il massimo e così è stato. La scuola per me rappresentava una prova continua, un dovere. Dovevo sempre essere brava e perfetta, un dovere verso me stessa che mi imponevo, dovevo dimostrare agli altri che valevo qualcosa, soprattutto ai miei genitori.. Con il passare del tempo mi allontanai sempre di più dalle amicizie, mi rinchiusi in casa sempre e solo per studiare e si fecero sentire i sintomi della malattia. Cominciai di nuovo a ridurre il cibo, buttavo la merenda, dicevo a mia madre di aver mangiato a scuola per arrivare a sera con lo stomaco vuoto e davanti ai miei genitori facevo vedere che mangiavo qualcosa così che non si accorgessero di niente. Dopo qualche tempo incominciai a sentirmi diversa, a scuola ero sempre distratta, le ore di studio erano diventate il doppio a causa della difficoltà a concentrarmi, questo mi mandò ancora più in crisi. Dopo vari svenimenti e la preoccupazione dei professori, iniziai ad aprirmi e loro mi indirizzarono in un centro per disturbi alimentari. Andai in questo centro e mi presero in carico. Non penso che allora ero consapevole del reale problema, decisi di farmi seguire più per accontentare gli altri, per non farli preoccupare. Naturalmente i miei genitori vennero a conoscenza del problema e cominciarono a controllarmi maggiormente. Da lì iniziò il periodo più brutto. La bulimia. Dovevo in qualche modo eliminare quello che mangiavo e poi c’era il problema dello studio: non potevo permettermi di dimagrire troppo, quindi entrai nel meccanismo delle abbuffate… Nel mio voler essere prima in tutto non mi rendevo conto che nello stesso tempo stavo cadendo sempre più in basso, sempre più giù nel buio. La bulimia gridava per me, io non ne ero capace. Quando iniziai a rendermi conto che tutto intorno a me stava precipitando iniziai a prendere coscienza su ciò che mi stava succedendo. Il periodo più buio forse mi ha portata per la prima volta ad accendere una luce su di me, a capirmi davvero. Ciò che oggi mi porta ad essere ancora qui e’ la mia consapevolezza verso la malattia. Ma il volere continuare a star male? Io dovevo far vedere a tutti che stavo male. Urlare il mio dolore attraverso il mio corpo era, credo, l’unico modo. Volevo essere invisibile, scomparire, ma anche urlare al mondo la mia sofferenza. Io avevo tutto ma in realtà non avevo niente. Tutti mi dicevano che avevo quel tutto, che ero bravissima a scuola, la prima della classe, una bella ragazza con potenzialità, ma in realtà io non avevo bisogno di quel tipo di soddisfazioni. Avevo bisogno di attenzioni, di amore.
Volevo essere amata non per quello che facevo, ma per quello che ero, con i miei difetti, le mie paure, le mie insicurezze, ed ecco che qualcosa si ribellava in me. Se fossi stata meno brava, mi avrebbero anche amata di meno? avevo paura che diversamente non mi avrebbero accettata. Fin da piccola mi sono sempre arrangiata, crescevo nel silenzio e nei sensi di colpa e questo mi ha portata a stare male. Con il tempo ho deciso da sola di chiedere aiuto, ma un vero aiuto questa volta. Durante questo cammino ho incontrato persone stupende che mi hanno aiutata ad arrivare a dove sono adesso. A breve inizierò un percorso residenziale, e nonostante io sono convinta che è la scelta migliore che io abbia fatto fino ad ora, ho momenti in cui ci ripenso, la paura è tanta. So che è la parte malata che vuole farmi tirare indietro ma cerco di non dare spazio a questi pensieri. Sono sicura e soprattutto fiduciosa che questo percorso mi aiuterà, forse non guarirò del tutto ma è un primo passo verso la guarigione, le cadute ci sono sempre, l’ importante è sapersi rialzare.. chi è dentro questa malattia la cosa che deve fare è affidarsi, con i se e i ma che ci sono sempre e sempre ci saranno perché il percorso è lungo e tortuoso ma sono sicura che una via d’ uscita c’è , basta volerlo davvero.
 
 

 

Monia

Non so bene come iniziare questo mini-scritto. D’altronde è da qualche tempo che mi trovo in difficoltà a iniziare la maggior parte delle cose della mia vita. Un buon punto di inizio può essere il momento in cui mi sono resa conto di non condurre un’esistenza normale. Normale. Una parola disgustosa e noiosa per me. Ma anche un obiettivo finale che mi pongo da sei anni ormai. Il rapporto con il mio corpo è sempre stato pessimo…da quando avevo quattordici anni ho dichiarato guerra al mio…involucro, chiamiamolo così. Quando ha fatto capolino la bulimia, tre anni dopo, ero già abituata a vivere in funzione del cibo. Per questo motivo forse percepire una differenza è stato un po’ difficile, come lo è stato percepire un problema.Penso che il momento in cui ammetti a te stessa di avere un problema coincide con il momento in cui te la fai sotto. E già. Perchè voglio parlare chiaro, il disturbo alimentare dà gioia, protezione, soddisfazione. Poi però ti rendi conto che il controllo che hai sempre pensato di avere in realtà non ti è mai appartenuto. Ti rendi conto che nulla ha più importanza, se non il raggiungere il tuo obiettivo. Ti rendi conto che il tuo umore dipende tutto dalla realizzazione o meno di questo maledetto obiettivo e che, anche se lo raggiungerai, ce ne sarà un altro subito pronto e comunque non sarà mai abbastanza. Non sai cos’è la libertà, ti chiedi se in assenza della malattia saresti così, con quel carattere, con quella personalità, con quel tipo di persone vicino a te. Cominci a pensare che qualcosa di terrificante si è preso la tua intera vita e te la fai sotto. Siamo esseri umani e il tuo istinto di sopravvivenza si scontra in una battaglia sanguinosa con l’istinto di sopravvivenza della malattia. In alcuni momenti di lucidità ti rendi conto che sei solo tu contro te stessa, in altri sai di essere tale e quale a una tossica o a un’alcolizzata. Tale e quale. E odi sentirtelo dire, odi sentirti dire che sei malata perchè è la verità e solo tu puoi dirla a te stessa.Io volevo solo occupare un posticino nel mondo, essere vista. Volevo solo uno scudo che mi proteggesse dalla società e dai suoi meccanismi malati, dai suoi individui malati. Mi ammalo per proteggermi dalla malattia della gente. No, nessun trauma in famiglia, nessun trauma in generale. Da piccola mi sono divertita, conservo dei ricordi pervasi di innocenza e di luce. Mi rifugio lì quando ho paura. Ho spesso paura.Il mio male è nato nel momento in cui mi sono affacciata sul mondo e ho scoperto che non serviva a nulla la mia ingenuità, dovevo cominciare a macchiarmi e a non guardarmi troppo attorno se volevo sopravvivere. Così ho costruito la mia prigione, giorno dopo giorno, proiettando il mio disagio su ciò che di più manipolabile pensavo di avere: il corpo. Il mio corpo. Spesso ho dei momenti in cui gli chiedo perdono. Ha dovuto subire i peggiori abusi, eppure è ancora qui, a sostenermi, a tenermi in vita.La dipendenza che provo sulla mia pelle, traducibile con DCA, è una dipendenza multipla. Più la malattia è rimasta con me più ho avuto modo di capire come sia dipendente da un sacco di cose. Le persone, per dirne una. La mia famiglia. L’approvazione. Il riconoscimento. Il giudizio della gente. La bulimia mi ha reso morbosa e ossessiva per un sacco di cose legate all’affettività. La paura dell’abbandono che minaccia ogni mia giornata. Io le chiamo paranoie, ma per me sono come lame affilate.Sono come parole che non oso proferire con nessuno, perchè so che non sono parole mie. Ma chissà come e chissà quando sono venute ad abitare dentro di me, con gli anni.Non voglio concludere con le solite frasi un po’ scontate “chiedete aiuto, è l’unico modo per uscirne”, “da soli non si può” eccetra. Fate quello che volete. Ma chiedetevi con il cuore sincero se ne vale veramente la pena. Chiedetevi con il cuore sincero se siete su questo pianeta per autodistruggervi e se abbia un senso nascere per distruggersi. Nessuno può salvare nessuno. Nessuno può prevedere il successo o il fallimento. Ma dentro di me io so che finirà e questo mi basta. Dentro di me so che ce la sto mettendo tutta e questo mi basta. Parlate sinceramente a voi stessi. Fatelo ogni giorno. E poi beh, da soli non si può. Ops, l’ho detto.
 
 

 

Ele

Sono arrabbiata, stanca, sfinita… non ce la faccio.. provo ad essere positiva, a cercare il buono, a gioire delle piccole cose e poi? nulla.. basta un nulla e la bolla esplode… penso agli esami, mi dico “ora studio, faccio le cose come si deve” e poi non muovo un muscolo, me ne sto ferma a non far nulla… passo gli esami e il voto non è mai abbastanza… perché devo mantenere una certa media, perché non posso deludere le aspettative di nessuno… cerco di non farmi problemi col cibo e con la bilancia e poi all’improvviso non ce la faccio più a sopportare un corpo che torna ad un peso “normale”… vedo le analisi del sangue perfette e mi arrabbio con questo corpo stupido che, indipendentemente da come mi sento, sta sempre alla grande… e meglio sta lui, peggio sto io perché significa che nemmeno io stessa sono in grado di rendere visibile in qualche modo questo dolore schifoso che mi porto dentro… non ce la faccio più… ho smesso di sognare, ho smesso di desiderare.. non voglio più studiare, non voglio laurearmi, non voglio un lavoro, non voglio uno stramaledetto futuro, non voglio una vita… l’unico desiderio che avevo era quello di avere una famiglia, un giorno, ma che madre potrei mai essere e in che razza di mondo metterei un bambino? nulla ha più un senso… sento che sto scivolando in un baratro e che non voglio venirne fuori… sono esausta.
 
 

 

 

Eleonora

Voglio dire una cosa…non si guarisce grazie a un miracolo, si guarisce grazie all’aiuto di chi ti può indicare una strada diversa da quella che stai percorrendo…è difficile certo perchè non si pensa che mangiare significa anche riuscire nuovamente ad assaporare la vita…ma un corpo che sta male, contiene una mente che sta male…non c’è scusa che tenga….un affamato non può essere felice, è una equazione perfetta….a volte serve un ricovero se la situazione persiste da tempo e non si riesce a scardinare i meccanismi,altre può già aiutare la terapia ambulatoriale ma ciò che è fondamentale è voler provare a cambiare facendo passi concreti…non aspettate domani per mangiare, per sorridere, per trattarvi bene…se rimandate non volete in fondo guarire,non raccontiamocela….ma vivere è possibile….spero di vivere veramente meglio!!
Buon viaggio
 
 

 

Federica

non voglio parlare di peso,misure e taglie…anche se all’inizio del post sembrerà così…
Negli ultimi due anni mi sono sempre categoricamente rifiutata di comprare dei pantaloni perchè non riuscivo ad accettare l’idea di doverli comprare di quella taglia (…) Continuavo a dirmi ‘farò shopping quando dimagrirò, quando tornerò magra, quando tornerò della mia taglia’ Rifiutavo il mio corpo e non credevo di meritare nulla, nemmeno un pantalone nuovo,perchè grassa, almeno ai miei occhi. Negli ultimi mesi, diciamo dall’inizio del 2012, ho iniziato una nuova terapia, ho lavorato sodo proprio sull’accettazione del presente, sull’amore incondizionato che devo avere verso di me… Son andata a fare shopping, ho comprato tanti pantaloni di quella taglia che mi sembrava tanto inaccettabile. Ovviam…ente il desiderio di perdere i kg ‘regalatimi’ dalle continue abbuffate c’era, ma c’era anzitutto l’esigenza di star bene…e la consapevolezza di non poter ‘saltare’ il presente solo perchè sgradevole… Insomma per farla breve il risultato è che quei pantaloni dopo un paio di mesi ho smesso di metterli perchè ora mi stanno larghi… Il senso, almeno per me, è che partendo dall’accettazione del mio corpo, accogliendo quel peso come fosse una ferita da curare e non un disonore, ho potuto iniziare davvero a superare, piano piano, quell’ostacolo … Continuando a rifiutarmi e a sentirmi colpevole e immeritevole non avrei mai potuto andare avanti. Ovviamente il lavoro in terapia non verte sull’accettazione del peso ma sull’accettazione del presente, con le sue I miei Jeans del sottopeso ….Tutti dati via… e mai più, oggi, rimpiango quel periodo … I miei stati d’animo positivi dipendevano unicamente da quanto poco avessi mangiato e da come mi stessero i vestiti … Mi ero condannata a una vita ben misera… Per fortuna quel velo è stato squarciato … la luce ha rischiarato le cose.
 
 

Francesca

Ciò che credevi di essere, quella che credevi essere la tua identità, altro non era che un abito di gesso e cemento…
una prigione costruita su misura per il tuo gracile corpo; un sostegno che gli impediva di corrompersi a contatto col mondo e che, al contempo, lo condannava ad una lenta e progressiva atrofia…
Quanto dolgono ora i muscoli, privati del loro alveo incancrenito e fossilizzato…quanto sembrano rimpiangere quella snaturante e soffocante calcificazione…
Muovere un solo passo ti appare ora faticoso e frustrante…
Nudo di fronte a un mondo erto ed impervio; non conosci il tuo nome, non riconosceresti più il tuo volto se incontrassi sul tuo cammino uno specchio…
… Chi sei? Dove vai? Cos’è che cerchi?
Non hai risposte…
Senti però un tremito nuovo all’interno della carcassa del tuo torace, un tremito che si modula a suo piacimento a seconda della fatica, del riposo… a seconda di qualcosa che sembrerebbe chiamarsi ‘emozione’ … E’ questo tutto ciò che sai di te, è questo ciò che sarai da oggi in poi: un cuore che pulsa… e che in un idioma a te ancora ignoto saprà suggerirti una rotta, ma mai una meta.
 
 

 

Lara

Ho imparato con gli anni a fingere così bene che ora fatico e non capisco più cosa e dove sono io…. Esco rido scherzo torno a casa sempre incazzata e non ho voglia di nessuno…ho perso il contatto di me e nn mi ricordo come guardarsi allo specchio per quello che si e… Dovrei buttare quella bilancia che implica le mie giornate dovrei rompere gli specchi per non vedere quello che mi sto facendo e dovrei tagliarmi le mani ogni volta che cercando sicurezza cerco ossa.. Io sono ben cosciente di quello che dovrei fare di quello che sta ricapitando ma non voglio risucceda ancora e mi dico che stavolta sarò sicuramente più forte di prima.
 
 

 

Dark Moon

Si dice che il sintomo è la cosa migliore che il nostro inconscio ha trovato per adattarsi alla situazione che viviamo……ti adatti al peggio perchè non vedi via d’uscita.. perchè quello diventa l’unico modo per sfogarsi, per rifugiarsi, per sopravvivere.. perchè non riesci a trovare altro modo per affrontare la vita, le situazioni, il passato..perchè quello è l’unico modo che ti permette di soffocare tutto e di non farti domande.. perchè nel momento in cui inizi a chiederti, a farti domande, inizia il percorso, inizia il difficile..inizi a vedere quello che ti fa paura vedere..quello che ti fa paura ammettere..quello che ti fa paura affrontare..ammetterlo è difficile..e capita che anche se inizi la terapia a volte lasci perchè farsi certe domande fa ancora più male, più male del sintomo, più male di tutto.. e allora ti ci aggrappi di più e sembra che non finirà mai e che quello che stai facendo è tutto inutile e non finirà.. ma è in quei momenti che bisogna continuare a combattere.. a lottare contro la nostra testa che vuole offuscare quei pensieri..a fare quel lavoro terapeutico che poi ti aiuta a trovare il modo..perchè un altro modo c’è.. ammettere i nostri limiti, le nostre paure, i nostri malesseri e le nostre fragilità, è difficile..ma quando poi inizi a comprendere che sono parte di noi e che tutti ce l’abbiamo e che dobbiamo solo accettarle per quelle che sono, le cose iniziano a cambiare..la visione inizia a cambiare.. i modi iniziano ad esser sostituiti da altri migliori.. “c’è sempre un modo.. per fare l’impossibile, per sopportare l’intollerabile..c’è un modo” never give up ♥ !!
 
 

 

Lia

Spesso si definiscono i disturbi alimentari come un problema strettamente correlato con la mancanza di amore. Si pensa subito alla ragazzina lasciata a se stessa con un padre assente e una madre autoritaria e severa che non ha mai abbracciato e coccolato la figlia. Ecco, con la mia storia vorrei smentire questa generalizzazione.
Anoressia nel mio caso è stata la prigione in cui mi sono chiusa per il troppo amore da parte di entrambi i miei genitori. Un amore vero e sincero ma totalizzante e chiuso che mi ha impedito di spiccare il mio volo, anzi, non mi ha proprio insegnato a volare! Mi ha portato a vedere come cattivo e pericoloso qualunque cosa estranea alla mia famiglia. Il mio mondo di 17enne, 18enne finiva dove finivano le mura di casa!
Non c’è mai stato spazio per la ribellione ma solo per enormi sensi di colpa da cui, ancora oggi non riesco a liberarmi del tutto e che mi tornano indietro come boomerang ogni volta che provo a spiegare un po’ le ali.
All’inizio la mia fu quasi una scelta di ammalarmi; sono sempre stata molto lucida e consapevole ma l’attenzione e la preoccupazione che stava nascendo verso la mia figura sempre più sottile, la nuova idea di me che stava nascendo che non era più quello della ragazza/figlia/studentessa ideale e serena, mi faceva stare incredibilmente bene ed era la mia droga quotidiana che mi permetteva di affrontare brillantemente la scuola e…i morsi della fame che, anzi, mi facevano sentire quasi invincibile.
Poi , quando meno me lo sarei aspettata, è arrivata la doccia fredda per non dire gelida: la coscienza di trovarmi in una situazione più grande di me: l’incapacità di gestirla, le discussioni logoranti a casa, i pianti, il dolore sempre più lancinante che sentivo dentro di me e soprattutto, per la prima volta, la lucida percezione che quest’ultimo non lo avrei attenuato con lo sciopero della fame, con l’esibizione del corpo-scheletro ma solo rimboccandomi le maniche, mettendomi davvero in gioco, combattendo i miei demoni e diventando per la prima volta protagonista della mia vita.
Da quel momento non è stata certo una passeggiata; sono passata attraverso un lungo ricovero, un day hospital, tantissima psicoterapia e una lotta quasi quotidiana contro la parte buia di me; quella che mi ha fatto più volte ricadere, quella che non accetta la propria femminilità, che non si perdona nessuna imperfezione, che continua a ricercare la sicurezza che non ha in un improponibile corpo etereo.
Ma adesso COMBATTO, VIVO, e ho scelto di ESSERCI….
 
 

 

Michela

…. io scrivevo pagine convulse prima di farlo e dopo averlo fatto, anche io ero cosciente ed ero anche ossessionata direi da un rituale che è vero mi sfiniva ma mi permetteva anche poi di respirare un pò di quiete, di pace…e che non riuscivo diversamente a trovare… è una cosa stranissima: ci stai male ma non puoi farne a meno, o così ti sembra in quei momenti lì…. io ero terrorizzata addirittura dal mio analizzarmi nel mio diario in una maniera fredda e razionale, parlavo di me come se stessi parlando di qualcun altro eppure ero sempre io… però…. è un modo anche per fuggire da un disagio che avverti dentro e che io non volevo ascoltare, è più facile aggrapparsi a ciò che conosci già, anche se ti fa stare male che iniziare a vedere le cose diversamente, a viverle diversamente… fino a quando, davvero stanca, forse anche più stanca e sfinita del solito, mi son detta che avevo davvero toccato il fondo e che se usavo tutte le energie per farmi tanto male, perchè non dovevo esserne capace per iniziare a volermi bene? Beh, con l’ultimo spiraglio di luce e di forza che avevo dentro ho detto “NO”, perchè fuggire, perchè annullarmi? Ho detto al mio male “io da qui non mi schiodo!” L’ho affrontato a piccoli passi, cadendo a volte, ma tenendo presente sempre in testa cosa volevo da me! Prendendo uno scivolone per quello che è, non come prima che vedevo bianco o nero… così uno scivolone non era la distruzione di tutto il mio percorso, ero solo inciampata… la malattia ti fa vedere tutto brutto, ma se fuori c’è una giornata di sole, tante giornate di sole, una vita serena…. perchè rinunciarvi?
 
 

 

Pretty

Insonnia, pillole, ipersonno, vuoto interiore, sensi di colpa, terapia, pasti sfasati, Vuoto, paura di uscire da sola, poche uscite rare e deliziose. Poi di nuovo il baratro nella notte: l’insonnia, sempre più pillole, ossessioni, pensieri più che oscuri, lacrime e singhiozzi, desideri che sembrano impossibili, cibo, non cibo, frustrazione, vuoto, paura, crollo, giornate buttate via nel sonno. E il progetto del viaggio in Israele che avrò fra 3 settimane, lungo 2 settimane (meraviglioso perchè con la comunità in cui sono stata per 1 anno e mezzo, con ragazze a cui sono legata e a cui voglio bene pur non vedendole da settembre e le operatrici, alcune che adoravo, nonchè la mia psico, la stessa che mi ha continuato a seguire finora) per cui non mi sto impegnando per niente, intendo come volontà concreta nei fatti di leggere gli opuscoli, la guida. Pur essendo un viaggio intenso, che richiede la mia totale cura PER ME: nella giusta ed equilibrata alimentazione e nel ritmo sonno sveglia. Ma poi sono sola, quasi sempre. E mi ritrovo con tutte le parole e i pensieri cui sopra. E io vorrei solo uccidere quella parte, e tenere e ritrovare la Baby brillante, intelligente, spensierata, che aveva iniziato a volersi bene, che ama viaggiare, fare shopping, ballare… Ma… dov’è?
ti adatti al peggio perchè non vedi via d’uscita.. perchè quello diventa l’unico modo per sfogarsi, per rifugiarsi, per sopravvivere.. perchè non riesci a trovare altro modo per affrontare la vita, le situazioni, il passato..perchè quello è l’unico modo che ti permette di soffocare tutto e di non farti domande.. perchè nel momento in cui inizi a chiederti, a farti domande, inizia il percorso, inizia il difficile..inizi a vedere quello che ti fa paura vedere..quello che ti fa paura ammettere..quello che ti fa paura affrontare..ammetterlo è difficile..e capita che anche se inizi la terapia a volte lasci perchè farsi certe domande fa ancora più male, più male del sintomo, più male di tutto.. e allora ti ci aggrappi di più e sembra che non finirà mai e che quello che stai facendo è tutto inutile e non finirà.. ma è in quei momenti che bisogna continuare a combattere.. a lottare contro la nostra testa che vuole offuscare quei pensieri..a fare quel lavoro terapeutico che poi ti aiuta a trovare il modo..perchè un altro modo c’è.. ammettere i nostri limiti, le nostre paure, i nostri malesseri e le nostre fragilità, è difficile..ma quando poi inizi a comprendere che sono parte di noi e che tutti ce l’abbiamo e che dobbiamo solo accettarle per quelle che sono, le cose iniziano a cambiare..la visione inizia a cambiare.. i modi iniziano ad esser sostituiti da altri migliori.. “c’è sempre un modo.. per fare l’impossibile, per sopportare l’intollerabile..c’è un modo” never give up ♥ !!
 
 

 

Sandra

Di certo non è così che va. Non è dicendo quanti kg hai perso o quanti ne hai messi per via di un disturbo alimentare che fai capire quanto questo ti abbia fatto soffrire, nè tantomeno dicendo il tuo bmi.
L’anoressia non mi ha fatto soffrire tanto per i numeri,malgrado ne fossi ossessionata, ma anzi, loro mi davano forza.
L’anoressia mi fa fatto soffrire quando mio padre piangeva a causa mia, nonostante non avessimo mai avuto un gran rapporto, per paura di perdermi ulteriormente, per paura di vedermi morire.
L’anoressia mi ha fatto soffrire quando vedevo il volto stanco di mia sorella che non dormiva più per i troppi pensieri che le davo.
L’anoressia mi ha fatto soffrire quando sconosciuti dicevano di me che fossi malata.
Mi ha fatto soffrire quando mi si diceva facessi schifo.
Mi ha fatto soffrire quando non riuscivo più a scavalcare il muro che avevo alzato tra me e le persone che amo.
Mi ha fatto soffrire quando ho rischiato di perdere il lavoro dei miei sogni.
Mi ha fatto soffrire quando iniziai a faticare a SOGNARE…Magra, ma a che prezzo? Magra, ma perchè?
 
 

 

Giulia

Mi chiamo Giulia Troncon. Sarebbe impossibile indicare un momento specifico in cui ho iniziato a stare male. Sono nata in un periodo difficile per la mia famiglia e fin da piccola sentivo che c’era qualcosa nel clima attorno a me che non andava bene, perciò, comprendo oggi a posteriori, che senza rendermene conto mi prefissai l’obiettivo di cercare di dare meno disturbo possibile, o meglio che sarei dovuta riuscire a rendere io felice la mia famiglia. Mi sentivo come in debito nei confronti dei miei genitori; volevo che fossero orgogliosi di me,specialmente mio padre che avevo molto idealizzato. Da che ricordo mi sono sempre sentita sola, di troppo e inopportuna in ogni situazione. Alla luce della consapevolezza raggiunta oggi, ricordo la mia vita come una progressione di dipendenze.
La prima, senza dubbio più grande, da mia madre, ci vedeva legate reciprocamente in modo simbiotico, solo con lei mi sentivo al sicuro, protetta dal mondo. Quando lei era assente o si allontanava avevo delle forti crisi isteriche di pianto; con le mie scenate suscitavo anche le prese in giro di tutti i miei compagni e nel giro di poco tempo diventai vittima di atti di bullismo. Ero alle elementari ma avrei già voluto abbandonare la scuola. Mi mancava l’aria senza mia mamma e lei stessa mi ripeteva che io ero la sua vita. Avevo il continuo terrore di perderla. Nelle poche e rare amicizie che riuscivo ad instaurare cercavo di ricreare questo tipo di rapporto simbiotico, ed ero talmente morbosa da portare l’altro inevitabilmente ad allontanarsi.
A undici anni è arrivato quello che ricordo di aver vissuto come la più grande disgrazia della mia vita: il ciclo mestruale. Stavo crescendo ma non mi sentivo ancora pronta. All’aumentare del seno crescevano anche le preoccupazioni di mia madre, e di conseguenza mia, sul rischio di attrarre uomini e poter essere in qualche modo in pericolo; venivo educata a dover portare con me le bombolette anti stupro per evitare che a causa delle mie nuove forme da donna qualcuno potesse violentarmi. In casa c’era l’esplicita richiesta di evitare i ragazzi almeno fino ai 18 anni.I suoi erano timori ansiosi e anche per questo ho interiorizzato il rapporto uomo-donna in modo assolutamente distorto e pericoloso, non come qualcosa di naturale bensì come qualcosa da evitare e cancellare.
All’interno della mia famiglia io avvertivo varie mancanze e per sopperire ad esse diventai la figlia modello che tanto avevano atteso:a scuola avevo voti altissimi, suonavo due strumenti musicali e facevo tre attività sportive contemporaneamente. Tutto per essere la numero uno,ma mai per essere me stessa. A 14 anni scelgo di andare al Liceo Classico,scuola che aveva fatto anche la mia mamma e di cui sempre sentivo parlare come “la scuola dei migliori” e Io DOVEVO essere tra quei migliori. Sapevo da sempre che mia mamma aveva tenuto i suoi vocabolari di greco e latino perché era certa che anche sua figlia li avrebbe usati. Ho sempre fatto di tutto per soddisfare delle aspettative,sia quelle palesemente richieste dai miei genitori, sia quelle che io ho avvertito come tali.
Durante il periodo delle superiori iniziai a chiudermi sempre di più e ad essere preda di una crescente depressione. Cominciai a non frequentare più nessuna amica, eccetto ovviamente mia mamma. Non riuscivo a fidarmi di nessun’altro. Provavo interesse verso i ragazzi ma era subito repressa da forti fobie,e il fatto stesso di provare quel naturale interesse lo proiettavo sulla mia immagine allo specchio, che mi appariva volgare. Avevo paura di essere desiderata, mi faceva schifo, e avevo terrore del mio di desiderio, che vivevo con vergogna temendo che dall’esterno si potesse vedere.
Continuavo a sentirmi insoddisfatta,imprigionata dalla vita stessa e vittima di ogni mio desiderio. E non c‘è cosa più brutta che soffrire dentro e non sapere perché. O meglio,per me una cosa più grave c’era all’epoca:Nessuno mi ascoltava e nessuno mi credeva. Nessuno credeva che soffrivo dentro.
Iniziai a concentrare tutte le mie attenzioni sul cibo che era ormai la mia unica fonte di piacere consentita. Speravo che dimagrendo e cancellando il corpo, con esso sarebbero venuti meno anche i suoi desideri. Tutte quelle attenzioni sul corpo e sullo specchio aumentarono velocemente,facevo infinite passeggiate dopo la scuola anziché andare a casa a pranzo e continuavo a restringere sempre più l’alimentazione.
Avevo 14 anni e mi sentivo forte, euforica, onnipotente. Un mostro si era ormai impossessato della mia mente,un mostro che covava già da anni nella mia anima:l’ANORESSIA.
Diventai una assidua frequentatrice dei blog pro-ana, cioè pro-anoressia, su cui trovavo consigli per digiunare. Restavo ore davanti allo schermo, aggiungendo all’ anoressia ormai conclamata anche una dipendenza da internet, che creava crisi d’astinenza quando non riuscivo a connettermi al mio mondo virtuale. Perdevo peso a vista d’occhio e passavo ogni ora sulla bilancia. Molti ricordano il periodo anoressico, di restrizione alimentare come uno dei più “belli” della malattia; io, escludendo il primo momento di euforia lo ricordo oggi come un incubo. Infatti tutto il controllo che credevo di avere era solo un illusione,perché in realtà era qualcosa più forte di me a controllarmi anche se non sono passata al binge o alla bulimia.
Non ero libera. Avevo spesso collassi e ogni giorno facevo delle flebo in casa. Avevo crisi di nervi con chiunque si mettesse tra me e la malattia e i conflitti tra me e la mia mamma si fecero molto violenti tanto da arrivare a metterle le mani addosso.
Con l’anoressia poco dopo è iniziato anche il cutter. Mi provocavo tagli per sfogare la mia rabbia,tutto l’odio che provavo verso me e il mio corpo … dovevo dimostrare attraverso le cicatrici che STAVO MALE,esattamente un’altra funzione che doveva avere anche il mio corpo anoressico. Tutto pur di distruggermi. Non me ne importava più di niente,aspettavo solo di morire. Non me ne importava nemmeno più di dimagrire.
Giorno dopo giorno mi sono ritrovata dentro un vortice, una prigione che mi ha portata a pesare 26 chili a 15 anni e a mangiare 4 gamberetti al giorno. E continuavo a vedermi enorme. Enorme come il mio dolore. Stavo in casa perché tremavo continuamente dal freddo, attaccata al termosifone con lo sguardo spento, privo di speranze e voglia di vivere. Non riuscivo a fare le scale, spesso dovevano prendermi in braccio perché non avevo più muscoli nelle gambe. La mia famiglia era distrutta e io non ne potevo più di stare così male.
Dopo mesi di digiuno e con un peso di una bambina di 7 anni il medico mi diede l’aut- aut: o ti fai ricoverare o ti facciamo ricoverare noi. Sentivo dire che ero a rischio di vita, ma io non me ne rendevo conto. Mi rifiutavo di seguire quella strada, non la vedevo come una soluzione al mio infinito dolore. Però io volevo capire, comprendere perché da anni mi odiavo così tanto. Pur di evitarmi il ricovero mi sono messa a cercare disperatamente su internet … e lo strumento che fino a mesi prima utilizzavo per distruggermi con i siti pro ana, mi ha salvata. Trovai il sito del centro MondoSole di ChiaraSole, e chiesi ai miei genitori di poterla incontrare.
Ricordo quel 6 Marzo a frammenti a causa della scarsa lucidità … ma quel poco che ricordo penso non me lo scorderò mai. Penso sia impossibile dimenticare il giorno che ti cambia l’esistenza e la persona che ti salva la vita. Oltre ai suoi occhi pieni di luce una frase riuscì ad entrarmi dentro “..Provaci ad affidarti ,cosa hai da perdere? A tornare indietro farai sempre in tempo “.Decisi di provare,io e Chiara ci demmo una settimana di tempo. Se fossi riuscita subito a seguire alla lettera tutto quello che mi diceva,soprattutto dal punto di vista alimentare,sarei potuta restare a curarmi a MondoSole,altrimenti dato il mio fisico gravemente debilitato, sarei dovuta essere immediatamente ricoverata perché i rischi erano troppi. Paura? tanta,troppa di ogni cosa. Ero terrorizzata all’idea di buttarmi e di abbandonare il mio sintomo. Ormai lo sentivo parte della mia identità,e mi sentivo niente senza. Ero spaventata all’idea di staccarmi dalla mia casa e dalla famiglia d’origine, e, soprattutto dalla mia mamma. Ero terrorizzata all’idea di andare ad abitare da sola come una donna universitaria,anche se ero insieme ad altre ragazze. In fondo,avevo pur sempre 15 anni. Ma la disperazione porta a fare cose straordinarie e ha dimostrato a me stessa quanto in realtà volessi vivere .
Il 19 marzo 2008 ho iniziato il mio percorso di cura. Mi sono affidata e oggi sono qui, a raccontare la mia storia.
Oggi ho capito che immersa totalmente nella mia malattia, non avevo idea di cosa in realtà fosse il mostro che avevo dentro. Dopo sei mesi che ho intrapreso il mio percorso di cura ho scoperto di avere un problema alla tiroide. Nonostante fossi malata “solo” da un paio d’anni,perdendo una notevole quantità di peso la mia tiroide era diminuita di volume,(2,5 cm), ed essendo ancora abituata alla mia non alimentazione,il metabolismo e il suo funzionamento erano era totalmente sballati. Non potevo curarmi con farmaci da questo ipotiroidismo perché il rallentamento funzionale dipendeva dalle dimensioni,ormai ridotte irreversibilmente. Ricordo quei giorni molto bene,sono stati tra i più brutti della mia vita. Ho iniziato a prendere peso,a prendere chili sproporzionalmente alla mia regolare alimentazione. Ero in crisi perché credevo che non si sarebbe più visto che ero anoressica e la voglia di mollare tutto e abbandonarmi a me stessa è stata tanta. Ma non me lo sono permesso,non più. Ho verificato sulla mia pelle come anoressica non sia solo una persona sottopeso. Io ero anoressica anche quando non c’era più un rischio medico. Restringevo la mia vita, le relazioni sociali, non mi concedevo niente di femminile. La mia vita doveva essere senza sapore.
Oggi continuo con umiltà a mettermi in gioco tutte le volte che è necessario per raggiungere uno stato di benessere completo, in tutte le sfere. Ad oggi riesco a dare un nome alle sofferenze che mi hanno attanagliato per anni senza più scaraventarle contro me stessa ed il mio corpo. . Mi sono appena diplomata al liceo pedagogico,cambiando quindi scuola con l’indirizzo di studi che in realtà volevo scegliere io. Ora ho un rapporto sano con i miei genitori che adoro e che non finirò mai di ringraziare per come mi hanno aiutata durante questo percorso, non per dimenticare ma per costruire dal nostro passato un rapporto sano e maturo. Mi piacerebbe condividere la vita che mi sono conquistata con un compagno un giorno,cosa per me prima del tutto inconcepibile, ed essere libera di amarlo,ma soprattutto libera dai condizionamenti del passato. Perché ora so che è possibile lavorare sulla sofferenza, accogliere tutte le emozioni che provo senza avere la pretesa di gestirle e fuggirle con anestesie varie. Grazie Chiara,grazie Matteo,grazie a tutto MondoSole per avermi dato l’opportunità di provare questo percorso,per la VITA che mi avete dato. Grazie per avermi evitato tante ulteriori sofferenze. Non c’è giorno che ho passato che non rivivrei per essere quella che sono oggi.
 
 

 

Simona

“……Pensavo che il trattenermi dal mangiare potesse essere sinonimo di grandissima forza di volontà da parte mia. In realtà, l’idea di disfarmi dall’anoressia, mi richiedeva molta più forza di volontà che rimanerci lì dentro. Ormai ero abituata a stare lì, buona buona magra magra, e l’idea di vedere come sarebbe potuta essere la mia vita senza malattia non mi interessava, anzi, mi faceva paura. Avevo paura di non stancarmi mai della malattia. Le mie amiche uscivano, facevano festa, si divertivano, ma a me non interessava. Non avrei mai trovato interesse in cose del genere perché a me interessava solo il cibo, il mio peso, le calorie, i miei vestiti che riempivo sempre meno. Alla fine ad un certo punto ci si stufa. E’ inevitabile che succeda, e quando ti rendi conto che non ne puoi più, lì veramente devi tirare fuori i denti. Devi riflettere tantissimo su quanto ti fanno male le cose che ti imponi di fare, gli obblighi che ti imponi quotidianamente di seguire. Ti logorano, ti rendono sempre più apatica e meno interessante……. Ora poi riesco ad affrontare i miei problemi. Ne ho, tanti, ma come tutti, ma rispetto a prima, mi concedo la possibilità di sbagliare e per questo non mi precludo alcune possibilità. Non avrei mai creduto, davvero, che sarei riuscita ad uscirne, e soprattutto ad uscirne così bene…. Esco con gli amici, vado in giro, finalmente ho avuto il coraggio di prendere la mia strada, diversa da quella che magari si sarebbero aspettati i miei genitori, ma che mi piace, per cui mi sento portata, e che voglio continuare il più a lungo possibile…….”
 
 

 

Pina

………………..Il mio corpo era l’involucro dell’anima,quella non si lasciava sporcare e restava un’innocenza che ancora di piu’ attirava quegli uomini. Anni di torture,di ricoveri, sondini, parenterali, catatari…di quel dolore che restava silenzioso,quel grido dentro che non trovava parole,il mio corpo martoriato dalla bestia. quando c’e’ stata la svolta? sembra assurdo ma e’ stato un attimo fugace,eppure eterno,durato all’infinito…io e mio padre seduti per terra dopo la guerra per farmi mangiare,dopo le suppliche,dopo le minacce….ricordo i suoi occhi,la luce s’e’ spenta dentro, s’e’ afflosciato tutto e guardandomi mi ha sussurrato “se deve essere cosi’ spero che succeda, perche’ noi non ce la facciamo piu’, è un dolore che non riusciamo piu a gestire..”. Li sono tornata me stessa per un breve momento e ho visto in faccia il dolore in cui ero precipitata…..e ho lasciato che mi aiutassero,ho iniziato io ad aiutarmi, a trovare le parole per quell’urlo silenzioso che frantumava la mia anima. La strada e’ stata dura, E’ DURA, difficile,piena di ricadute,ma finalmente il muro che c’era intorno a me s’e’ incrinato,l’amore vero,quello che colma l’anima ha iniziato ad entrare dentro di me…la fragilità, seme per la vita e non per la morte. I miei genitori son tornati a tenersi per mano, la vita almeno mi guardava. Perche’ ho voluto raccontare tutto questo? perche’ ogni tanto ancora una mano mi stringe la gola quando devo inghiottire cibo. ma c’e’ una piccola vita adesso dentro di me: L’amore. Che è vita. che davvero colma ogni vuoto il mio sogno è di avere un figlio un giorno… a volte mi chiedo se dare la vita puo ridarti la vita. DEDICATA A CHI SI E’ SALVATA,PERCHE’ L’AMORE PUO’ SALVARE.
 
 

 

Alice

“…………..Forse allora non è proprio tutto risolto come credevo…. Ma cosa devo fare allora per …? La rabbia mi percorre, e mi chiedo davvero cosa diamine dovrei fare. Ora come ora mi sento molto bene dal punto di vista psicologico. Faccio tutto ciò che mi piace fare, condivido parte della mia vita con una persona che mi fa sentire importante ed amata, non ho ossessione di cosa mangiare o cosa non mangiare, né tanto meno di voler perdere peso. Il mio corpo lo accetto e me ne prendo cura… perché mai dovrei cercare di raggiungere quel peso che tanto mi ha fatta soffrire qualche tempo fa? Perchè tornare in una condizione che mi ha portata ad odiarmi ed isolarmi?………… E forse non c’è niente da capire. Va bene, ho sofferto di un terribile male. Ma adesso sto bene. Mi rallegro di tutto quanto ho conquistato e spesso sorrido. Il mio passato mi ha formata, cresciuta e portata fino a qui, ma questo non vuole per forza significare che è ancora il mio presente. I digiuni, la voglia, il desiderio e il godere dei morsi della fame, la voglia di essere invisibile, sempre più leggera, sempre più spigolosa, sempre più scheletro, sempre più morte hanno fatto parte di me. Sono riuscita ad andare oltre il solo aspetto fisico e a concentrare le mie attenzioni verso altri ambiti. Mai potrò dimenticare chi sono e chi sono stata, né tanto meno voglio farlo. Sono orgogliosa di me per tutto quanto sono, sono stata e spero di essere in futuro.”
 
 

 

Annina

“15 maggio
Oggi per me é una Data Molto Importante e Indimenticabile .. Come fosse il mio Secondo Compleanno. Perché ???
Se da sempre, purtroppo, il mese di Maggio è un vero incubo, non posso non essere felice in questo giorno che mi ricorda di quanto devo Saper finalmente dire ‘GRAZIE’ a me stessa e ovvio, non solo !
Perché dopo lunghissimi terribili anni in cui avevo scelto di annullarmi completamente fisicamente e psicologicamente, sentendomi Morta, Senza Corpo e Anima, tra depressione e Anoressia Nervosa, sempre più vicina alla morte a 21 kg in quella notte del 7 Agosto 2007, IO HO SCELTO LA VITA nell’affidarmi, nel fidarmi di una meravigliosa équipe multidisciplinare in comunità. Grazie a loro, insieme a loro ho lottato ogni giorno per anni VINCENDO il MOSTRO , non usando più quindi quella valvola di sfogo, il cibo , imparando ad esprimere i miei sentimenti, sensazioni e emozioni, imparando a confrontarmi senza paura di giudizio, ritrovando la mia IDENTITÀ , lasciando andare quella famosa ‘ BAMBOLINA DI CRISTALLO CHE GIRAVA A CARILLON A TEMPO SCANDITO DAGLI ALTRI’ .
Pensavo che ‘usando il cibo’ stavo sicuramente meglio, non buttando fuori invece a parole il disagio interiore che sentivo fin bambina : non mi sentivo amata ne capita, mi sentivo una nullità, mai all’altezza di nessuno, nonostante ricercavo quell’attenzione dai miei genitori da sempre. Ma se non comunicavo, come potevano anche loro capire il mio malessere???Da adolescente sempre peggio: più mi dicevano che ero bella e ricevevo apprezzamenti anche da amici e amiche, più non mi sopportavo e volevo diventare INVISIBILE agli occhi dei ragazzi e così , forse, avrei ottenuto quell’attenzione in famiglia da tanto desiderata.
Invece IO AVEVO SCELTO, inconsapevolmente, DI PORTARE UNA MASCHERA MALEDETTA SENZA SAPERE CHE MI AVREBBE SOLO FATTO ANCORA PIÙ MALE !!!
Ma ad un certo punto, dopo brutti episodi, non riuscivo più a comunicare ne col mondo esterno ne in famiglia, rinchiudendomi quindi in un silenzio totale, in solitudine nella mia stanza e in quel nemico-bagno. Ero convinta che io non meritavo di essere amata, di sorridere ed essere felice.
Finalmente in un momento di lucidità , passo dopo passo, in comunità sono riuscita a RECUPERARE IL MIO ‘IO’ lavorando tantissimo su me stessa, a riscoprirmi, a scoprirmi, comprendendo ogni tipo di emozione e sensazione senza più aver paura di mostrarla e reprimerla, accettandomi per i miei pregi e difetti. E solo quando ho iniziato giorno per giorno ad apprezzarmi, ho capito che non volevo assolutamente ricercare la perfezione ma VOLEVO AVERE IL CORAGGIO DI ESSERE ME STESSA, DIVENTARE DONNA senza timore di sentirmelo pronunciare.
Sembra facile eppure ci vuole forza, determinazione, fiducia, coraggio di chiedere aiuta senza alcuna vergogna !
É forse la cosa più difficile SAPERSI PERDONARE, il che significa anzitutto SAPERSI ACCETTARE.
Tante di quelle cose che mi facevano paura adesso sono alle mie spalle, fanno parte del mio cammino, della mia esperienza e DI CIÒ CHE SONO OGGI.
PROPRIO PER QUESTO, ANCHE SE STO AFFRONTANDO NUOVE DIFFICOLTÀ CHE SEMBRANO INSORMONTABILI, CERCO DI NON SCORAGGIARMI PERCHÉ CE L’ HO FATTA IERI, CE LA FARÒ ANCHE OGGI.
INSOMMA , PROPRIO DUE ANNI FA MI SONO SENTITA PRONTA AD APRIRE QUELLA PORTA DOVE MI HANNO ACCOLTO, AIUTATO, CRESCIUTO E VOLUTO BENE PER MOLTI ANNI (e resterà una grande famiglia per sempre per me) E HO SCELTO DI NON ESSERE ‘CULLATA’ ANCORA…LA MIA VITA , IL MONDO FUORI MI ATTENDEVA, TUTTO DA SCOPRIRE GIORNO PER GIORNO, non più sola ma con accanto quel Meraviglioso Padre, il mio Super (******) . GRAZIE INFINITAMENTE !
Ho imparato a credere più a me stessa, a volermi bene, a donare, a ricevere, a sorridere, ad abbracciare ed essere abbracciata, a non aver paura di tentare e non aver paura di cadere, perché se capitasse, so di levarmi la polvere di dosso, rialzarmi e provare ancora. Non posso essere tutto per tutti e non posso fare tutto in una sola volta, non potrò mai fare sempre tutto bene, allo stesso modo, e non posso far sempre meglio di chiunque altro.
SONO ANNINA E SONO FIERA E ORGOGLIOSA DELLA DONNA CHE SONO OGGI, nonostante quel dolore allucinante, quella sofferenza fisica e psicologica, l’Anoressia, i tantissimi episodi che non potrò di certo mai cancellare ma che ho saputo accettare per andare avanti …
Un grazie speciale a tutti quelli incontrati nel mio percorso e che ogni giorno incontro e incontrerò …
AVANTI TUTTA#SIPUO#FIOCCHETTOLILLA#FOREVER”