Associazione che si occupa di disturbi del comportamento alimentare e violenza di genere.

Il peso delle parole di S. Lanaro

Quando fanno bene le parole? Mi verrebbe da rispondere quando arrivano al momento giusto e quando vanno a riempire di emozione quel momento della mia vita e del mio incontro con l’altro. Quella parola significa vicinanza, comprensione, rispetto e desiderio, ed è il “risultato” di un incontro di sguardi e di corpi.

Ma quando, proprio in  quel momento una parola, un’etichetta  va a colpire il vuoto e lo fa deflagrare?

Le parole hanno un peso e quel peso lo sentiamo quando quella deflagrazione amplia il vuoto e lo riempie di dolore e di certezza di non essere abbastanza, di non essere giusto e di non meritarsi lo sguardo forse nemmeno il proprio?

Le parole hanno quel peso, poi possiamo pensare che è solo una battuta, fatta per scherzare e non per far male…ma se fa male e il dolore è così grande che non può essere espresso e buttato fuori ma, l’unica cosa che appare è un sorriso o ancora peggio una risata?

A chi è rivolta quella risata? All’altro, al mio dolore o alla mia vergogna profonda o ancora a tutto me stesso?

Non si riesce ad avere quella forza di potersi ribellare a quell’etichetta e quindi quel dolore che non può essere espresso pena l’essere etichettato nuovamente lavora dentro e crea macerie di sé.

E l’etichettatore si nasconde dietro alla simpatia e alla vicinanza, “ è un amico”, “io stavo scherzando” e il dolore del destinatario si riempie di solitudine e di confusione, di impossibilità di dire e di raccontare dove quella pugnalata è andata a colpire.

Le parole hanno un grande peso!!!

“Fai ridere” “sei grasso/a” “sei ridicolo”, “ma non ti vergogni con quei capelli” “ehi ciccione” fanno male e il dolore è ancora più forte se nemmeno se ne riconosce il peso.

“Sei cicciona” “non passi nemmeno dalla porta”, “ma sei anoressica ?” parole che pesano perché confondono le acque, ma io sono malata? Sempre più spesso si confondono le persone con malattie psi – cologiche/chiatriche , e quella confusione riempie di dolore, si perde la propria identità per confondersi con il gruppo che di quella malattia è rappresentativo.

La persona e la sua etichetta, nel progetto Nazionali senza filtro 2 (progetto di Alessandro Gimelli fotografo educatore di Loano https://www.alessandrogimelli.com/) una delle partecipanti aveva scritto “Stacca, attacca, un’etichetta è facile da attaccare ma difficile da rimuovere. Rimarrà sempre un residuo di colla, quel segno indelebile con cui la società ci ha bollati.”

L’etichetta segna, perfora e lacera e quando il dolore è forte e la confusione sulla propria reale identità è tanta, quella parola può  diventare il proprio nome….

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