Associazione che si occupa di disturbi del comportamento alimentare e violenza di genere.

“Fiocchetto lilla”, 120 eventi per combattere anoressia e bulimia

Giovedì 15 in tutta Italia giornata nazionale contro i disturbi del comportamento alimentare. Oltre tre milioni di persone ne soffrono. Ma le strutture pubbliche sono ancora troppo poche.

SONO oltre tre milioni. E soffrono, tutte e tutti, di disturbi del comportamento alimentare (Dca). Ma dentro quel dato ci sono le storie personali. Di chi è in lotta con il cibo e con il proprio corpo. Di cibo negato, divorato, odiato, venerato in quella che si trasforma in una via crucis, anche per i familiari. Per lo più sono ragazze, ma anche gli uomini stanno lentamente diventando prigionieri di anoressia e bulimia, dei disordini alimentari. E in quei tre milioni e più ci sono, oggi, anche bambine (l’insorgenza dei primi disturbi può arrivare prestissimo) e over-40. Che qualche anno fa non c’erano.

FIOCCHETTO LILLA
La giornata nazionale importata dagli Usa ce lo ricorda – ma fa anche molto di più –  giovedì 15 marzo. Un abbraccio collettivo, da Nord a Sud tra chi ci è passato, chi sta lottando, chi è vicino a chi lo fa ogni istante della sua vita. Insieme anche a medici, infermieri, psicologi, fisioterapisti. Oltre 120 gli incontri in tutta Italia tra ambulatori specializzati del servizio pubblico, ospedali, sedi di associazioni, teatri. Piccoli e grandi. Una giornata di sensibilizzazione. A metterla in piedi nel 2012 è stato Stefano Tavilla, papà di Giulia, diciassettenne genovese deceduta proprio il 15 Marzo del 2011 per le conseguenze di un disturbo del comportamento alimentare di cui soffriva da tempo. La ragazza era in lista d’attesa per entrare in una struttura residenziale, fuori dalla Liguria, la sua Regione.

L’INIZIATIVA
“Da quel giorno, con tutte le mie forze e con l’aiuto dell’associazione  che ho fondato, “Mi nutro di vita”, ho lavorato perché ci fosse una giornata dedicata ai Dca”, racconta Tavilla. E nel 2012 è arrivato il primo, e unico evento allora. Organizzato a Genova. Poi come un’onda “Fiochetto lilla” ha invaso l’Italia perché “con il passare degli anni si sono unite altre associazioni”, aggiunge il papà di Giulia. L’obiettivo non è solo quello di far conoscere i Dca, ma quanto lavoro c’è ancora da fare, come quello di riuscire “a fare in modo che escano dalle malattie psichiatriche all’interno dei Lea, i Livelli essenziali di assistenza e conquistino un loro posto in modo che ogni Regione sia obbligata a fornire i servizi adeguati a chi ne soffre e alle loro famiglie”, fa notare Tavilla.

I PERCORSI DI CURA
In Italia, come ricorda Laura Della Ragione, responsabile dei centri per la cura dei disturbi alimentari Palazzo Francisci e Nido delle Rondini di Todi (una delle prime strutture residenziali pubbliche aperte), “curarsi non è così semplice, mentre anoressia nervosa e bulimia non conoscono confini e colpiscono persone di ogni Regione in maniera uguale, i servizi pubblici o convenzionati a disposizione sono invece distribuiti sul territorio a macchia di leopardo”. E così finisce che in Regioni come “Sardegna, Molise e Puglia, gli ambulatori siano pochissimi se non nulli” ricorda Della Ragione “un pellegrinaggio infinito da città a città per le famiglie sottoposte non solo a spese aggiuntive ma anche a uno stravolgimento della propria vita che arriva dopo non poche fatiche, perché chi soffre di questo tipo di disturbo tende, spesso, a non ammetterlo e ad accettare di essere aiutata a fatica”. Pochi gli ambulatori, pochissime le strutture residenziali sparse in Italia. E anche in questo caso a macchia di leopardo.

LE (POCHE) STRUTTURE RESIDENZIALI
Un punto, quest’ultimo, sul quale concorda Armando Cotugno, responsabile Uosd Disturbi del comportamento alimentare Asl Roma1, che ha organizzato sempre per giovedì 15, nella Capitale, un convegno (dalle 14 nella sala Basaglia del Complesso del Santa Maria della Pietà). “Il nostro ambulatorio segue stabilmente circa 300 persone, mentre le prime visite sono circa 1500”, spiega. Numeri, i suoi, che raccontano anche quanto sia importante una rete assistenziale. Ma non solo. “I Dca sono disturbi invasivi. Coinvolgono il corpo e la mente dei pazienti, e anche tutta la famiglia. Per questo è importante seguire non solo chi ne soffre ma anche l’intero nucleo. Nella nostra struttura, oltre al percorso psicologico e nutrizionale, inseriamo i pazienti in percorsi per riappropriarsi dell’immagine corporea, ma tutto questo a volte non è sufficiente perché esistono casi in cui una struttura residenziale dove intraprendere un percorso riabilitativo si dimostra l’unica strada. Nonostante a Roma ci sia più di un ambulatorio, comunque troppo pochi, non esiste ancora una struttura residenziale pubblica e parliamo di una città con oltre tre milioni e mezzo di abitanti. Ma servirebbero, in generale, anche più day hospital”. Un problema non solo romano, dunque. Intanto per chi vuole

 

avere delle informazioni, capire se nella sua città esistono ambulatori o strutture residenziali, farsi consigliare ci sono il sito disturbialimentarionline.it realizzato dal ministero della Salute e il numero verde 800180969.

 

Fonte R.it